Sono venuto a conoscenza di SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) per caso, tramite un tweet che mi ha incuriosito: quest0 incontro casuale avrebbe dovuto indurmi, da subito, a qualche riflessione.
SPID è stato pensato come sistema unico di login per l’accesso ai servizi on-line della Pubblica Amministrazione e dei privati che vi aderiscono.
Cittadini e imprese possono, cioè, accedere ai servizi della PA con una identità digitale unica – l’identità SPID, appunto – che permette l’accesso da qualsiasi dispositivo (desktop, tablet, smartphone, etc.).
L’identità SPID si ottiene facendone richiesta ad uno degli identity provider (“IdP” o gestori di identità digitale) accreditati: ciascun utente può, quindi, scegliere liberamente il gestore di identità che preferisce fra quelli accreditati (e, quindi, autorizzati) dall’Agenzia per l’Italia digitale (AgID).
L’autenticazione con SPID può avvenire con modalità diversificate in base alle credenziali rilasciate per tre differenti livelli di sicurezza, a seconda della tipologia di servizio offerto.
Tutto bene, quindi? Assolutamente no!
SPID potrebbe sembrare, a prima vista, un utilissimo strumento per poter – finalmente – avere un canale privilegiato di accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione ma, tra il dire e il fare, c’è di mezzo ancora troppa strada da compiere.
Pur avendo già a disposizione un indirizzo PEC, il PIN della Carta Nazionale dei Servizi (CNS) e un kit per la firma digitale professionale, l’iniziativa di SPID mi è piaciuta ed ho, quindi, deciso di lanciarmi nell’avventura di possedere la mia personale identità digitale, felice di poter sfruttare questo mezzo per dialogare on-line con la Pubblica Amministrazione per tutte le mie esigenze.
Niente di meno lontano dalla realtà, purtroppo.
Vi racconto, in breve, la mia esperienza.
Sul sito dell’AgID si trova la pagina “Richiedi SPID” dove vengono elencati i nominativi degli Identity Provider attualmente accreditati, con le modalità specifiche previste da ciascun IdP per sottoscrivere il servizio.
Già al primo passaggio viene voglia di lasciar perdere, perché:
- il primo IdP dell’elenco richiede che voi andiate di persona a Torino per firmare i moduli! Ritengo molto improbabile che io abbia voglia di recarmi ad uno sportello a fare la coda già nell’ipotesi che io mi trovi a Torino, ma è evidente che non sottoscriverò mai il servizio se non sono neppure residente in città. Qualcuno mi dovrebbe spiegare come sia possibile proporre un servizio, che dovrebbe essere un simbolo dell’evoluzione digitale dell’Italia, chiedendo all’utente di recarsi fisicamente allo sportello;
- il secondo IdP richiede la CNS o la firma digitale;
- il terzo prevede anch’esso la possibilità di sottoscrizione a distanza tramite CNS o firma digitale ma era gratuito solo fino al 31 dicembre 2017 (restano, però, ignoti i costi del servizio dal 1° gennaio 2018);
- per sottoscrivere il servizio con il quarto IdP dovete addirittura recarvi di persona ad un apposito ufficio dislocato in un paese in Provincia di Ancona: non è difficile immaginare quale contributo alla diffusione del servizio possa dare uno sportello così decentrato;
- il quinto IdP sembra offrire il servizio più semplice (basta un pc con webcam) ed è gratuito;
- il sesto IdP chiede un costo di attivazione di Euro 14,90 + IVA;
- il settimo IdP chiede Euro 19,90 + IVA.
Ottenere la propria identità digitale richiede, insomma, una certa dose di pazienza, molta convinzione e, in qualche caso, anche la disponibilità a spendere un po’ di Euro.
Benché sia possibile per il cittadino ottenere la propria identità digitale fin dal 15 marzo 2016, SPID ha raccolto davvero poche sottoscrizioni rispetto alle stime (erano previste 10 milioni di adesioni entro il 31 dicembre 2017), ma ciò non stupisce se si considera che il servizio è, ai più, ignoto.
La sottoscrizione del servizio, inoltre, non è proprio così rapida: io stesso, la prima volta che ho cercato di completare la procedura di sottoscrizione, mi sono spazientito e ho accantonato l’idea; poi, con una certa dose di caparbietà e un po’ di tempo a disposizione, ho completato l’iter ed è con orgoglio che, oggi, posso “vantarmi” di essere uno dei circa due milioni di italiani a possedere SPID!
Da quel momento, il mio livello di interazione con la PA è … rimasto identico a prima dato che, fino ad ora – e sono passati già dei mesi – non ho mai avuto il piacere di usarla!
D’altra parte, basta guardare i dati ufficiali di diffusione di SPID per territorio e per iscritti per comprenderne la ragione; secondo quanto riportato sul sito www.italiasemplice.gov.it , rispetto al risultato atteso al 31 dicembre 2017 (adesione al servizio da parte di 10 milioni di utenti), ad oggi:
- solo 3.866 Amministrazioni Pubbliche, sparse qua e là sul territorio, la usano per qualche sporadico servizio on-line, con intere Regioni totalmente assenti dal servizio;
- solo poco più di 2 milioni di italiani hanno aderito.
Il servizio cresce di circa 1 milione di utenti l’anno (di cui, tra l’altro, una grossa fetta sono insegnanti per via della possibilità di accedere ad alcuni servizi a loro esclusivamente dedicati): a conti fatti, considerato che la popolazione italiana è all’incirca di 60 milioni di individui, con questo tasso di crescita, probabilmente entro l’anno 2075 avremo tutti un’identità digitale!
Forse, per allora, avremo già colonizzato Marte, ma è sicuro che di SPID si sarà persa da lungo tempo la memoria.
D’altra parte, basta guardare la “press area” dedicata da AgID a SPID per capire che il progetto rivoluzionario della PA italiana è naufragato appena dopo la sua nascita: l’ultimo comunicato stampa è datato, infatti, 26 luglio 2016!
Secondo Eurostat 2017 , per l’Italia nell’anno 2017 “la delusione forse maggiore è sull’utilizzo dei servizi di e-government, dove evidentemente non si vedono ancora gli effetti delle politiche nazionali, con alcuni programmi strategici che non hanno ancora dispiegato risultati significativi al momento della rilevazione (vedi Spid); (…) l’adesione delle PA è ancora timida e lenta. Di fatto, la situazione rimane invariata rispetto al 2016, anzi con un regresso rispetto alla media europea (…)“.
Tale impietosa disanima della situazione italiana trova ulteriore conferma in una notizia recente : “l’Agenzia delle Entrate si rifà il look ma dimentica lo SPID: si paga ancora, in molti casi, con il PIN oppure con la smartcard che risponda ai requisiti della Carta Nazionale dei Servizi. Roba che non si usa più neppure nel Comune di Paperopoli”.
Insomma, il rischio che SPID sia l’ennesimo progetto incompiuto italiano è, ogni giorno, più concreto e reale e dipende, a mio avviso, da una tragica noncuranza di chi governa il Paese nei confronti della digitalizzazione della nostra società.
In attesa di un futuro migliore, mi tengo stretta la mia SPID nella speranza che, con il tempo, possa divenire, perlomeno, una rarità come il noto Gronchi Rosa per gli amanti della filatelia!