Sono moltissime le ricerche svolte negli ultimi anni da cui emerge un significativo ritardo dell’Italia nello sviluppo dell’ecommerce.
Secondo una delle più recenti statistiche, l’Italia è al terz’ultimo posto in Europa, a pari merito con Cipro e appena sopra Bulgaria e Romania, nell’utilizzo del canale ecommerce: solo il 29% degli italiani fa shopping online; i consumatori più attivi sono di età compresa tra i 25 e i 34 anni (42%) e i giovanissimi tra i 16 e i 24 anni (40%).
Col progredire dell’età aumenta, purtroppo, la diffidenza nei confronti del mercato digitale: soltanto il 18% dei cittadini di età tra i 55 e i 64 anni e il 7% dei cittadini di età tra i 65 e i 74 anni acquista online e, in ogni caso, la frequenza degli acquisti è molto bassa e di valore non rilevante (quasi mai gli acquisti superano i 500,00 Euro).
Molti attribuiscono questa difficoltà di sviluppo a fattori strutturali: “la parcellizzazione delle imprese italiane; un tessuto imprenditoriale composto da piccole e medie imprese che hanno difficoltà a investire in nuove tecnologie per il commercio e nel rapporto con i mercati globali; (…) la scarsa consapevolezza da parte degli imprenditori di come le tecnologie li possano supportare a riprogettare i propri modelli di business e la relazione con i clienti”.
Anche dal lato del consumatore, però, la situazione non è delle migliori: quasi tutti gli italiani possiedono uno smartphone ma pochi lo usano per gli acquisti online, i pagamenti o le operazioni di home banking, tant’è vero che una quota rilevante degli acquisti online sono pagati alla consegna o al ritiro del bene in contanti o, addirittura, con il caro, vecchio, bollettino postale!
A me pare che la diffidenza del consumatore italiano per l’acquisto online sia oggettivamente malriposta e probabilmente frutto di una scarsa conoscenza delle regole esistenti a sua tutela, previste in particolare dal Codice del consumo (che regolamenta i “contratti a distanza o negoziati al di fuori dei locali commerciali”, tra cui rientrano, appunto, i rapporti B2C online) e dal D.lgs. 70/2003 (di recepimento della Direttiva UE 2000/31) in materia di commercio elettronico.
Vediamo, brevemente, quali sono le norme a tutela del consumatore:
- obbligo di informazioni precontrattuali: il venditore online ha l’obbligo giuridico di illustrare nei dettagli le condizioni generali di vendita, dando al consumatore il maggior numero di informazioni possibile sui beni, prodotti e/o servizi che commercializza, sulla loro tipologia, nonché sulla portata e sulla struttura dell’instaurando rapporto contrattuale;
- contenuto minimo indispensabile: il D.lgs 70/2003 impone a chi esercita un’attività di ecommerce di rendere facilmente accessibili e aggiornate le informazioni su nome, denominazione, ragione sociale, sede legale, domicilio, estremi di contatto, email, numero di iscrizione REA, numero di P. IVA, prezzi e informazioni sui prodotti/servizi, informazioni sui pagamenti, dettagli sulle modalità di conclusione del contratto, indicazioni sulle modalità di archiviazione dell’accordo, eventuali possibilità e mezzi per modificare l’ordine prima dell’invio, codici di condotta, numeri del servizio di assistenza post-vendita, indicazione degli strumenti di composizione delle controversie messi a disposizione del consumatore;
- obblighi informativi specifici: il Codice del Consumo prevede, inoltre, che il venditore informi il consumatore, prima che sia vincolato al contratto, con linguaggio semplice e facilmente comprensibile, dell’esistenza del diritto di recesso (o, meglio, di ripensamento), dei tempi per l’esercizio di tale diritto, della durata del contratto, della garanzia legale di conformità e di eventuali ulteriori garanzie commerciali, delle informazioni sul prezzo complessivo dei beni o servizi (comprensivo di tutti gli oneri e costi), di quali sono i doveri del consumatore al momento della consegna (in particolare, in ordine alla diligenza richiesta per verificare ciò che gli viene consegnato), dei tempi per il ricevimento della merce, del passaggio del rischio, dell’assistenza post-vendita, delle eventuali deroghe alla suddetta disciplina in particolari casi (per esempio, nel caso di merce deperibile);
- al consumatore è concesso il diritto di recesso per 14 giorni che, di fatto, costituisce una tutela di favore per l’acquirente molto più ampia di quanto sia la fattispecie tipica del recesso perché si concretizza in un vero e proprio diritto di ripensamento, dato che il consumatore può restituire il bene senza dover dare alcuna spiegazione del motivo;
- l’inadempimento del venditore agli obblighi informativi comporta conseguenze molto onerose, con sanzioni che vanno da un minimo di Euro 5.000,00 ad un massimo di Euro 5 milioni (nel caso di condotte scorrette mediante informazioni non corrispondenti al vero o anche solo idonee a indurre in errore il consumatore medio);
- l’inadempimento agli obblighi informativi determina, inoltre, a) l’estensione del termine per il diritto di ripensamento a 12 mesi; b) la nullità del contratto e/o la sua annullabilità;
- in materia di ecommerce si applica, inoltre, la legge italiana anche nell’ipotesi in cui il venditore abbia la propria sede all’estero: è sufficiente, infatti, che il venditore di un Paese estero offra la propria merce o i propri servizi a consumatori residenti/domiciliati in Italia perché si applichi la legislazione nazionale;
- l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) vigila attentamente sulla correttezza del mercato dell’ecommerce, tant’è vero che dal sito dell’Autorità il consumatore può direttamente segnalare al Garante pratiche scorrette o sleali, in violazione degli obblighi sopra descritti.
E’ evidente, quindi, che la tutela apprestata dal nostro Legislatore a protezione del consumatore online è molto più stringente, intensa e favorevole rispetto alle norme che tutelano gli acquisti presso un negozio fisico (non foss’altro che per la possibilità di ripensamento).
Sembra, quindi, che la reticenza italiana all’ecommerce non abbia origine in fragilità normative ma sia, purtroppo, frutto di una errata e fuorviante percezione soggettiva dello strumento digitale da parte del consumatore.
Per quale motivo, ad esempio, si considera meno sicuro comprare online con una carta di credito se, ad ogni pagamento, la società emittente della carta avvisa in tempo reale il consumatore sul proprio smartphone dell’acquisto, offrendo anche un tasto rapido di selezione per il blocco immediato del pagamento? Se perdo un portafoglio pieno di contanti, sono persi per sempre; se perdo la carta di credito, la blocco con una banale telefonata e nessuno potrà utilizzare il mio denaro!
Speriamo, quindi, che questa ingiustificata “italica diffidenza” possa essere sconfitta in tempi brevi, considerati gli innegabili vantaggi che l’ecommerce è in grado di offrire sia ai consumatori (che possono acquistare gli stessi beni con più ampie garanzie e probabilmente minori costi e minor dispendio di energie e tempo per la ricerca) sia ai venditori (che possono proporre i loro prodotti ad una platea molto più ampia, slegata dai vincoli e dai limiti connessi all’esistenza di un punto vendita fisico).