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Insidie della trasformazione digitale

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Nel numero di maggio 2018 la Harvard Business Review ha dedicato un interessante contributo al tema delle insidie del mondo digitale nei vari campi: economia, finanza, società, diritto, psicologia, ambiente.

Pensiamo, ad esempio, ai problemi legati alle criptomonete, ai potenziali effetti dirompenti degli algoritmi sulla vita delle persone, al degrado dei social media (con i fenomeni di cyberbullismo ed hatespeech), all’affermazione della post-verità, all’escalation terroristica mediante gli strumenti digitali e, ancora, alla mercificazione dell’intimità o ai rischi legati alla perdita di posti di lavoro nel mondo.

Gli autori della Harvard Business Review (Aldo Bisio, Roberto Maglione, Carlo Alberto Pratesi e Massimo Marino, Guido Scorza) hanno affrontato i problemi da diversi punti di vista, facendo emergere un quadro complessivo fatto di luci e ombre.

Si comprende, oggi, che il “lato oscuro” del digitale è strutturale e non accidentale ed è importante identificarlo sia per essere in grado di padroneggiarlo sia per potersi difendere e non essere dominati.

Ciò si traduce, tra le altre cose:

  1. nell’ambito del cyber risk, nell’essere consapevoli che la cyber security è un elemento centrale della governance dell’azienda e deve costituire un punto fisso nell’agenda dei Comitati Esecutivi, anche mediante la nomina di una specifica figura: il Chief Information Security Officer (CISO);
  2. nel saper adattare e sviluppare la cultura aziendale per facilitare il cambiamento sempre più rapido, acquisendo manager che sappiano diffondere un elevato grado di agilità culturale, flessibilità e adattabilità al nuovo;
  3. nel gestire le criticità ambientali emergenti dall’uso delle tecnologie digitali: l’inquinamento prodotto dall’utilizzo di materiali rari per lo sviluppo delle nuove componenti tecnologiche; gli elevati consumi di energia connessi all’uso dei server (che richiedono sia energia per funzionare sia per essere raffreddati) da parte di miliardi di persone; i costi di smaltimento di prodotti a rapida obsolescenza e soggetti ad un rinnovo ciclico molto frequente, con conseguente emersione di un significativo problema di e-waste.

A tutto ciò deve, infine, aggiungersi il cosiddetto rischio della “dittatura delle policy“tenuto conto che il tempo medio di lettura di un testo è stimato in 250 parole al minuto (…), per leggere solo i tre documenti principali nei quali si articolano le condizioni generali di servizio di Twitter (65.684 caratteri nella decima edizione) servono 40 minuti. Un tempo destinato a triplicarsi per chi volesse leggere tutti i documenti”.

L’effetto di una siffatta selva di policy di lunghezza interminabile contenenti le condizioni del servizio, adottate praticamente dalla generalità degli operatori della rete, comporta, in sostanza, che quasi nessuno dei miliardi di utenti che utilizzano quotidianamente internet è realmente consapevole delle regole che governano i servizi che usano.

Le condizioni generali dei più popolari servizi on-line sono così lunghe e complesse che ignorarle è la regola: “la Europol (…) qualche anno fa commissionò a una società di sicurezza uno studio nell’ambito del quale quest’ultima inserì nei termini e nelle condizioni di accesso a un hot spot wifi londinese una clausola che impegnava chiunque l’accettasse a cedere il proprio figlio primogenito (….) Inutile dire che a dozzine vendettero, più o meno inconsapevolmente, il loro primo figlio” in cambio di una manciata di minuti di connessione gratuita!

Un contributo, quello della Harvard Business Review, a tutto tondo sulle insidie attuali del mondo digitale che si legge piacevolmente e offre molti spunti di riflessione su questioni sotto gli occhi di tutti noi.