Il tema della conservazione digitale riveste un’importanza sempre crescente nel nostro quotidiano tecnologico, che produce una mole di documenti sempre più cospicua, giorno dopo giorno, in un formato piuttosto che in un altro, dando l’illusione all’utente di poter sempre avere a disposizione ciò che gli occorre.
Come ho già avuto modo di spiegare nel mio precedente contributo sul tema (“L’importanza della conservazione digitale“), la conservazione digitale garantisce l’accesso permanente ai contenuti digitali grazie a specifiche regole tecniche (attualmente descritte, in via prevalente, nel Codice dell’Amministrazione digitale – CAD) che consentono di preservare l’integrità del contenuto documentale nel tempo.
L’importanza della conservazione digitale viene in rilievo, in particolare, nella fase di messa a disposizione dei documenti conservati in favore di chi li ha prodotti e ne ha chiesto, appunto, la conservazione.
Questa fase riveste un ruolo particolarmente importante perché è il momento in cui il documento (archiviato secondo le regole di conservazione disciplinate dal CAD) passa dalla fase di quiescenza (il deposito) a quella “nuova vita”, tornando a svolgere una funzione giuridicamente rilevante (ad esempio, perché il contratto archiviato secondo i criteri della conservazione digitale deve essere utilizzato nell’ambito di un contenzioso civile).
In questo “passaggio di stato” del documento (da quiescente ad attivo) si coglie in modo piuttosto agevole la differenza tra un documento analogico e un documento informatico perché:
- nel caso del documento analogico, è sufficiente estrarre il documento cartaceo dall’archivio e produrne una copia (o, al massimo, una copia autentica conforme) in giudizio;
- nel caso del documento informatico, non sarà sufficiente produrre in giudizio il documento digitale, ma occorrerà, altresì, depositare la prova della corretta conservazione digitale di quello specifico file. In assenza di questi ulteriori elementi, il documento, infatti, potrebbe essere messo in discussione sotto il profilo della sua autenticità (magari anche solo in relazione alla sua data) e/o della sua integrità (perché, ad esempio, presenta delle firme digitali scadute e, quindi, non potrebbe più considerarsi validamente sottoscritto).
La prova della conservazione digitale è, in particolare, costituita da quei documenti informatici generati nel momento in cui il contenuto digitale è stato conferito all’archivio del Conservatore accreditato presso l’AGID, attraverso i quali viene attestata l’attività svolta dal Conservatore stesso.
Nel concreto, colui che ha interesse ad utilizzare documenti conservati digitalmente presso un Conservatore accreditato, dovrà accedere al portale di quest’ultimo e farsi restituire:
- il documento informatico originale;
- il file .zip contenente le prove della conservazione (di norma si tratterà di files in formato .xml con il rapporto di versamento /pacchetto di conservazione, firmato dal Conservatore e il medesimo documento munito di marca temporale). In questo secondo documento, troveremo, in particolare, la sua data di conferimento in archivio e l’impronta informatica (hash) del documento conservato.
Il raffronto tra l’hash riportato nel rapporto di conservazione e l’hash del documento informatico – in caso, naturalmente, di identità dei due – costituirà la prova della integrità e della validità giuridica del suddetto documento digitale.
Il ciclo di vita dei documenti depositati negli archivi dei Conservatori si conclude, poi, con la cosiddetta fase di scarto del pacchetto di archiviazione dal sistema di conservazione digitale, che si ha quando i documenti posti in conservazione vengono eliminati perché il loro proprietario ritiene non più necessario tenerne copia perché:
- hanno esaurito la loro validità giuridica;
- non hanno più alcuna rilevanza storica.
Questo fondamentale passaggio conclusivo del processo di conservazione digitale richiede – in capo a colui che vuole / deve porre in conservazione i propri documenti informatici – un’attenzione particolare dato che, per attuare la scelta di scarto, è necessario previamente stabilire i criteri in ordine a:
- cosa conservare (quali tipi di documenti e quali formati);
- per quanto tempo conservare.
Conservare digitalmente un eccesso di documentazione comporta, infatti, costi di conservazione elevati e crescenti nel tempo.
Inoltre, conservare indistintamente tutto non serve, non è utile e, anzi, è controproducente perché si rischia, nel tempo, di rendere problematica e difficoltosa la reperibilità della documentazione realmente rilevante.
Si comprende, quindi, quanto sia importante disporre di un sistema di gestione documentale efficiente, magari personalizzato, che risponda alle specifiche esigenze di ciascuna azienda con riferimento ai quesiti di cui sopra.
In questo modo, individuati preventivamente quali debbano essere i requisiti che deve avere un documento perché sia adottata la decisione di porlo in conservazione, il documento, tramite il sistema di gestione documentale, verrà automaticamente indirizzato alla conservazione, evitando il rischio di dimenticanze da parte dell’interessato e, quindi, impedendo una sua accidentale perdita.
Nel medesimo modo potrà essere gestita anche la fase di scarto: predeterminando, infatti, anche i meccanismi di verifica periodica dei documenti conservati digitalmente, si potrà accertare sistematicamente la perdurante necessità di conservazione o, al contrario, una prematura obsolescenza, consentendo tempestive disposizioni al Conservatore per lo scarto o il mantenimento in conservazione, senza rischi di anomale stratificazioni documentali e costi eccessivi.
L’eliminazione dei documenti posti in conservazione è, d’altra parte, un’attività necessaria per garantire un’ordinata tenuta dell’archivio digitale che, da un lato, evita l’accumulo di masse ingenti di documentazione inutile ed effimera e, dall’altro lato, consente di svolgere un’ineludibile operazione culturale di selezione delle fonti storiche realmente rilevanti.